Loro e Lui. Nello scrivere il suo film su Silvio Berlusconi, Paolo Sorrentino ha colto innanzitutto il ruolo eliocentrico che l’uomo di Arcore ha rivestito in questi bui anni della nostra storia. Da una parte Loro. Un’intera galassia che ruota attorno al suo sole, di cui speranzosa attende il sorgere, fatta non di astri, ma di spazzatura. Immondizia umana di ogni sorta: faccendieri, politicastri, edonisti, papponi e, ovviamente, puttane. Un solo valore dominante: mercificare. è il messaggio che propina incessantemente la nuova arma di massa: la televisione, la vetrina dove si espongono alla vendita salumi o corpi femminili, poco cambia.
Dall’altra parte Lui e il ritratto che Sorrentino ne fa, grazie alla caratterizzazione di Toni Servillo, rende ancora più surreale il quadro: un uomo simile ad una caricatura, quasi un pupazzo dal largo sorriso eternamente stampato sul volto, alle prese con le paturnie e le velleità culturali una moglie annoiata, apparentemente bonario, ma capace di essere gelidamente spietato. La galassia dell’effimero, dell’apparenza, del falso reso verosimile, della comunicazione che travalica il messaggio, della prestazione aumentata dalle droghe. Finta la sua stella, vacuo ciò che gli gira intorno: un mondo fatto di nulla e di nullità. Paolo Sorrentino presta il suo virtuosismo, utilizzando non più le composizioni oleografiche ed estetizzanti di “Youth”, ma un ritmo frenetico e martellante nel montaggio e nel taglio delle inquadrature, come se l’occhio dietro la macchina da presa fosse alterato dalle stesse pasticche di cui abusano le sue comparse. Solo due scene sono caratterizzate dalle metafore stranianti dello “stile Sorrentino”: un candido agnello che, ipnotizzato dallo schermo televisivo, si avventura in una villa, dove finisce per stramazzare dal freddo; un camion che, per evitare un ratto, si ribalta, cospargendo di rifiuti i luoghi della Grande Bellezza. Ma chi si aspetta il linguaggio tipico del regista napoletano, troverà solo apparentemente altro: c’è tutto il suo cinismo, la sua visione onirica, il gusto per il surreale, il nonsense offerto come verità. Eppure tutto è verosimile: facile riconoscere nei personaggi interpretati da Riccardo Scamarcio, Kasia Smutniak, Fabrizio Bentivoglio nomi portati in auge dalle cronache. Il fatto è che la realtà supera la fantasia: assurda, grottesca, decadente più di quanto lo stesso Sorrentino avrebbe potuto immaginare. Non più creazione la sua, ma mera rappresentazione. è per questo che il più forte messaggio di denuncia del degrado morale e culturale contemporaneo al berlusconismo poteva essere lanciato solo da Paolo Sorrentino. Meglio di qualsiasi documentario cronachistico, il suo linguaggio, non più onirico ma solo tristemente realistico, ci dipinge nella maniera più aderente la realtà. Una realtà che, attenzione, non è storia, ma è ancora drammatica attualità.