CAPENA – Ha corso sotto un sole cocente, con in braccio un bimbo appena nato, sofferente, con respiri affannossi e un cuoricino che nel tragitto si ferma due volte. Carolina fa questo. Vive a Capena, Medico Pediatra al Sant’Andrea e Volontaria della Croce Rossa Italiana dal 2009. Ha girato il mondo per le sue missioni; in Palestina ha aiutato i bambini feriti dalle mine nella Striscia di Gaza; in Kenya dove insieme ad altri colleghi ha fondato un campo di Croce Rossa attivo e poi a bordo di una ONG per un mese, dove era l’unico medico a fronteggiare l’emergenza di 450 migranti. “Amo fare il medico, amo il lavoro in ospedale “ – racconta Carolina Casini a Qui News – ma c’è un aspetto in particolare che è il vero valore aggiunto. Sapere di poter essere utile con la mia competenza professionale; sapere che essere o meno in una determinata zona nel mondo, può fare la differenza; prendere coscienza che senza di te, in quell’istante, una vita non continuerebbe”.


Buon sangue non mente. Carolina aveva già nel suo DNA un destino ben preciso: “Anche mio padre Marcello era un medico che per venti anni ha lavorato a Capena. Era un radiologo e operava a in paese e da lui sono passati praticamente tutti i bambini della zona. Da giovane – racconta emozionata Carolina – anche lui partiva per le missioni in Africa. Questa bellissima <<malattia>> me l’ha trasmessa in pieno”! (ride ndr). Entusiasmo, speranza, battiti di vita emergono nelle parole di Carolina che usa il web per raccontare le sue storie. Virale infatti, è stato un suo post da 30mila like e 15mila condivisioni dell’esperienza di un ragazzo di soli 17 anni partito dal Ghana e arrivato al centro di accoglienza di Lampedusa dopo enormi sofferenze e dopo aver visto persone morire durante il viaggio della speranza. Mi racconta che da grande vuole fare il dottore – si legge nella parte finale del post – Sono fiera di lui. Una mattina, il giorno prima della mia partenza, lo vedo seduto in fila con gli altri 200 che stanno per lasciare il centro. Ha le sue buste di plastica in mano, è felice. Mi avvicino e mi dice: Io non ti dimenticherò mai, tu sei la mia mamma da questa parte di mondo.
Nell’ultima missione Carolina è stata in Bangladesh, un’esperienza diversa dalle altre: “Un milione di persone – racconta – sono state costrette ad abbandonare la loro terra, a fuggire. Una migrazione lunga sei mesi, dove ho avuto l’occasione di respirare un grande senso di umanità. Persone terrorizzate per le brutalità subite, avevano già negli occhi la voglia di ripartire come un popolo unito. C’erano bambini che avevano perso i propri genitori che venivano accolti da famiglie neocostituite. Un gesto di solidarietà che mi ha commosso”. E a proposito di affetti, Carolina racconta il suo rapporto con i due figli, ormai grandi, che l’hanno accompagnata in questi 10 anni nel suo percorso in CRI: “Non è facile lasciare la famiglia per settimane, ma il premio è così grande che il sacrificio si fa. Nel 2009 andai in Palestina e i miei figli, all’epoca piccoli, già si rendevano conto di quello che facevo e mi dissero <<Vai Mamma, vai a prendere quei bambini… noi ti aspettiamo>>.

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