di LUCA PACCUSSE – Con l’avvicinarsi dell’estate tornano alla cronaca i tristi episodi di bambini dimenticati in automobile dai genitori e ritrovati senza vita dopo diverse ore per ipertermia, un brusco aumento della temperatura corporea che causa disidratazione o addirittura arresto cardiocircolatorio. Le vittime sono nella stragrande maggioranza bambini con meno di quattro anni, che nella stagione più calda subiscono la prigionia di un abitacolo infiammato dal sole e dalle alte temperature. Negli Stati Uniti questo tipo di incidente provoca mediamente 38 morti all’anno, quasi tutti tra la primavera, l’estate e l’inizio dell’autunno. Minori dimenticati in macchina per un’occasionale distrazione anche da persone “attente e premurose” e “molto affidabili” nel lavoro, come è stata descritta la madre della piccola vittima in provincia di Arezzo poche settimane fa –
Più che di dimenticanza sarebbe appropriato parlare di falso ricordo – afferma la Dott.ssa Virginia Verbicaro, psicologa clinica e psicoterapeuta – il genitore è convinto di aver lasciato il figlio al nido e il cervello fissa nella mente questo ricordo. Spesso, soprattutto in situazioni particolarmente stressanti, il cervello ha bisogno di agire per automatismi, proprio perché i tanti stimoli che riceviamo al secondo ogni giorno, non possono tutti essere codificati ex novo, così il cervello agisce in automatico per preservare la sua integrità. Dimenticare il figlio non significa necessariamente la mancanza di amore per il figlio stesso, ma la parte automatica del cervello non comprende la differenza tra un oggetto e un bambino.
Secondo un’inchiesta del Washington Post pubblicata nel 2009, negli USA i minori deceduti per ipertermia (prigionieri in auto), sono aumentati esponenzialmente, oltre 600 vittime dal 1998 a oggi. Una delle cause individuate dall’autore Gene Weingarten, sarebbe l’entrata in vigore della legge che prevede l’installazione dell’airbag anche per il sedile del passeggero che costringe ad assicurare il seggiolino per bambini sui sedili posteriori. Questo da un lato ha contribuito a ridurre le vittime di incidenti stradali, ma dall’altro avrebbe ridotto il campo visivo del guidatore, che non ha più il bimbo al suo fianco, ma dietro di se’, con il rischio di dimenticarselo al momento di uscire dall’auto. Questa spiegazione però, non può essere sufficiente senza considerare quanto possano essere sano incidere lo stile di vita e il contesto attuale nella vita di tutti i giorni. Secondo la Verbicaro infatti – oggi viviamo in un contesto sociologico in cui è sempre più necessario imparare l’arte del multitasking per riuscire a fare tutto. Mentre accompagniamo i bambini a scuola e guidiamo la macchina stiamo preparando il discorso per la riunione, pensiamo alla cena e al parcheggio che non c’è, al rischio di ritardare a lavoro, il tutto mentre rispondiamo ad una nota audio su whatsapp. Magari il bambino si è addormentato e la strada che facciamo in automatico ci porta dritta a destinazione. In questo scenario, può verificarsi un blackout mentale. La frenesia, così come il caldo, possono renderci affaticati e più soggetti ad errori fatali. Tragedia nella tragedia: sulla mamma o sul papà grava il dolore per la perdita del figlio, ma anche un macigno legato alla colpevolizzazione sociale; un vero e proprio cataclisma, sia perché è innaturale che il genitore debba assistere alla morte del proprio figlio, sia perché colui che dovrebbe proteggere il bimbo sente di averne determinato la morte. Un dramma profondo e lacerante che può essere affrontato lasciandosi aiutare. L’elaborazione del lutto e dell’accaduto va affrontata lentamente, prendendo consapevolezza dell’evento traumatico vissuto. La guarigione è possibile solo accettando che probabilmente, le ferite non smetteranno mai di sanguinare – conclude la Dottoressa Verbicaro.