di GABRIELLA TORRE

MONTOPOLI IN SABINA – Cosa spinge una donna ad occupare una casa popolare? Perchè questo ha fatto Alessandra. Lo ha fatto il 14 gennaio del 2014 quando, con tre figli, senza un lavoro e senza una casa, decide di occupare un appartamento delle case popolari di Montopoli in Sabina. Nel marzo del 2013, al secondogenito Lorenzo viene diagnosticata una grave forma di autismo e il compagno di Alessandra, divenuta da poco madre di una terza figlia, prende un congedo straordinario dal lavoro. Una crescente criticità economica porta Alessandra e la sua famiglia, ormai impossibilitati a pagare l’affitto della casa dove si trovano, a fare richiesta al comune per l’assegnazione di un alloggio popolare, ma la presentazione della domanda viene fatta oltre i termini di scadenza. Rimasta fuori graduatoria, con uno sfratto imminente e il rapporto con il compagno ormai alla deriva, Alessandra decide di pensare unicamente ai suoi tre figli occupando un alloggio vacante presso le case popolari.

A dare una mano ad Alessandra e specialmente a suo figlio Lorenzo, ci pensano associazioni come SalvaMamme di Forano e, a Poggio Mirteto, il gruppo Talità Kum insieme anche all’assistenza della ASL. Il bambino – che ora ha 7 anni – raccoglie i frutti di un’apparente situazione di serenità e mostra importanti progressi nel vivere quotidianamente nello stesso ambiente (fondamentale nelle patologie di questo tipo). Per Alessandra invece, comincia una vera e propria guerra. L’ATER (Azienda territoriale per l’edilizia residenziale pubblica) della provincia di Rieti, avvisata dal comune, inizia a inviare ogni 15-20 giorni ingiunzioni affinché lasci l’immobile – L’ATER poteva fare un contratto – spiega Alessandra amareggiata –  solamente se il sindaco avesse firmato un mandato per l’assegnazione dell’abitazione, ma così non è stato. Sono andata avanti lo stesso. Non potevo permettere che i miei figli crescessero per strada. La situazione economica non mi permetteva di agire diversamente, alcuni addirittura hanno insinuato che fossi una scansafatiche e non volessi cercarmi un impiego. Mi sarebbe piaciuto invece poter dare la mia disponibilità a lavorare. Con Lorenzo però devo essere presente al 100%, per qualsiasi emergenza o rischio per la sua salute.

Il paese è piccolo e la gente mormora e alcuni non si rendono conto di cosa prova una mamma a vivere una situazione del genere – Sono tanti anni ormai che abito a Montopoli. Conosco tante persone, ma veramente poche mi sono state accanto. In questi tre anni Alessandra è stata protagonista di due procedimenti: il primo penale dal quale è stata già assolta e il secondo civile ancora in corso (tra poco ci sarà la sentenza). Psicologi e assistenti sociali che conoscono Lorenzo, ne confermano la sua particolare sensibilità emotiva e psicologica: cambiare casa ancora una volta, potrebbe significare una regressione e annullare i progressi fino a questo momento raggiunti con le terapie. Chi vive la disabilità – spiega Alessandra –  viene abbandonato dallo Stato. Il problema delle malattie dei nostri figli rimane a noi. Siamo noi che dobbiamo imparare le leggi, far valere i nostri diritti. È da augurarsi che questa vicenda possa concludersi nel miglior modo possibile, ma soprattutto che possa essere spunto di riflessione per i politici e gli amministratori.

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