di ELEONORA FESTUCCIA/FARA SABINA – Mumatz Jan ha impiegato cinque lunghi anni per arrivare sin qui; è partito dall’Afghanistan e lo ha fatto perché era in pericolo, non perché volesse lasciare la terra che lo ha visto nascere e crescere. Ha attraversato Pakistan, Iran, Turchia e Grecia; fino all’arrivo in Italia, a bordo di un tir per un viaggio lungo 30 interminabili ore. Dentro quella scatola in lamiera, senza cibo e quasi senza aria si chiedeva se ce l’avrebbe fatta. Prima di allora, per raggiungere le coste greche, aveva viaggiato su un gommone insieme ad altre 70 persone. Le stelle nel cielo, riflesse nel mare blu – ha poi raccontato ai ragazzi dello Sprar – gli sembravano tanti pesci che si confondevano tra le onde: è questa l’immagine che lo ha accompagnato nel viaggio della “di-speranza”, quando era forse appena maggiorenne (Mumatz non sa esattamente quale sia la sua data di nascita, ndr). Non sapeva nuotare e riusciva a mala pena a pregare con tutta quella paura addosso. Sono passati sei anni da quando Mumatz è arrivato a Passo Corese. Oggi ha una nuova vita: coltiva la passione per la pittura, conosce cinque lingue e si occupa di mediazione culturale nell’ambito del progetto Sprar (Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati) di Fara Sabina. Nessuno meglio di lui potrebbe “fare da ponte” tra culture; anche Mumatz infatti è stato uno dei beneficiari del progetto Sprar. Come lui, tanti altri ragazzi, nel corso degli ultimi anni, sono venuti nel Comune di Fara per partecipare all’iniziativa finanziata dal Ministero degli Interni che si rivolge a rifugiati e richiedenti asilo. Purtroppo capita, ed è capitato recentemente, che non tutti conoscano la reale situazione di questi giovani o che alcuni facciano molta fatica a mettersi nei loro panni e finiscano per spingersi oltre, fino anche ad assumere comportamenti razzisti. Pochi giorni fa, un post su Facebook ha raccontato un episodio condannato da più parti: visto il caldo torrido alcuni ragazzi beneficiari del progetto Sprar sono andati in una piscina di zona, cercando semplicemente un po’ di refrigerio in un pomeriggio afoso.
Come tutti, hanno pagato il biglietto d’entrata, ma una mamma al loro ingresso avrebbe fatto uscire i figli dalla vasca, con tanto di commenti razzisti e imprecazioni su presunte spese dell’Amministrazione per il loro mantenimento. Un fatto grave, che deve far riflettere anche su come la scarsa conoscenza alimenti di fatto un razzismo strisciante e insensato, privo di un qualsiasi legame con la realtà. È bene allora quanto meno cercare di capire chi siano questi giovani che ospita il nostro Comune e come funzionino le attività promosse dallo Sprar. Far parte di questa rete – ci spiega Alessandra Foschini (manager del progetto, ndr) – significa ospitare nel proprio territorio persone che scappano da guerre o persecuzioni, che hanno ottenuto lo status di rifugiato o sono in attesa di ottenerlo. Nostro compito è quello di offrire loro un servizio di orientamento a 360 gradi: lavorativo, legale, sanitario e sociale. Lavoriamo sull’integrazione nel territorio: abbiamo firmato lettere d’intenti con imprenditori locali per tirocini formativi, stipulato protocolli d’intesa con il centro per l’impiego e con diverse associazioni; in modo da promuovere momenti di aggregazione e condivisione con i cittadini di Fara. Qui a Passo Corese – continua Alessandra – i beneficiari del progetto sono sempre uomini singoli, di cui conosciamo bene provenienza e storia prima ancora che arrivino. Fara Sabina è sempre la loro seconda tappa, non capita mai che arrivino da noi subito dopo essere sbarcati, giungono qui dopo essere stati selezionati dagli uffici preposti del Ministero degli Interni.
Il sistema di accoglienza è gestito ormai da 10 anni dall’Arci di Rieti e conta nella sua squadra, oltre ad Alessandra e Mumatz, anche Mauro Merlani e Alessia Passi, che si occupano rispettivamente degli aspetti socio-sanitari e di quelli formativi. Inoltre, il gruppo si avvale dell’ausilio di consulenti esterni, in particolare per ciò che concerne gli aspetti legali e finanziari. Soprattutto dal punto di vista finanziario la consulenza del commercialista è fondamentale, perché le norme da seguire in materia di rendicontazione sono stringenti e nulla può essere lasciato al caso. Tutto deve essere assolutamente documentato e tracciabile – racconta Alessandra. Proprio sul tema finanziario è bene fare chiarezza: in un periodo di forte crisi economica a livello nazionale e in un momento delicato anche per le casse comunali, il pregiudizio si fa strada; ma l’idea che lo straniero arrivi a “rubare ciò che è nostro” cade come un castello di sabbia di fronte alla realtà. Infatti, i fondi destinati al progetto Sprar provengono dal Ministero degli interni e sono assolutamente vincolati. Il nostro Comune non potrebbe disporre di quei soldi in modo diverso. Fissiamolo bene a mente. Ma c’è di più: il progetto Sprar innesca sul territorio degli effetti positivi sia in termini di ricchezza culturale che in termini di ricchezza economica. I ragazzi che ospitiamo – racconta Alessandra – alloggiano in appartamenti privati per i quali vengono pagati gli affitti, bollette e tasse vengono regolarmente saldate anche al Comune, senza nessuno sconto. Pure il pocket money di cui i ragazzi dispongono, viene interamente speso sul territorio, gli stessi imprenditori locali trovano nei ragazzi delle risorse su cui fare affidamento.
Risorse e fondi destinati al progetto vengono spesi e impiegati sul territorio; questo è un dato di fatto. Ad oggi, sono 21 i ragazzi ospitati a Fara tramite Sprar che provengono da Afghanistan, Iran, Pakistan, Nigeria e Gambia. Oltre alla storia di Mumatz ce ne sono altre che varrebbe la pena ascoltare. Di qui è passato ad esempio Alireza: un musicista iraniano, costretto a scappare dal regime di Ahmadinejad al quale si era opposto. Lui suonava musica elettronica, ma erabravissimo anche al piano. Durante la permanenza a Fara, lo Sprar si è attivato per un’audizione al conservatorio di Santa Cecilia. Il resto lo ha fatto da sé, con il suo talento: è entrato al conservatorio ed oggi lavora in Germania, è un musicista affermato. Poi ci sono i ragazzi che col tempo hanno trovato lavoro nelle aziende agricole, nei ristoranti e in tante altre realtà. Tutti sono scappati da un pericolo, da una minaccia. Anche quei migranti che non possono ottenere lo status di rifugiato – ricorda Alessandra – scappano dalle loro terre perché altrimenti morirebbero di sete o di fame. Se noi non conosciamo le loro paure questo non le rende meno reali. Se la sera ci addormentiamo tranquilli nel nostro letto; mentre altri uomini, donne e bambini fissano le stelle riflesse sul mare, senza sapere se sperare o morire; forse qualche domanda dovremmo porcela. Per iniziare, gli abitanti di Fara hanno una grande opportunità: partecipare alle iniziative dello Sprar che vengono pubblicizzate sulla pagina Facebook Rifugiati FaraSabina. La conoscenza è l’unica potente arma contro ogni forma di razzismo e la stessa Alessandra ce lo conferma: vedo episodi come quelli della piscina, ma vedo anche una cultura di accoglienza. Ci sono persone burbere che borbottano di continuo, ma quando conoscono i nostri ragazzi ed interagiscono con loro tutti i pregiudizi cadono. Ho molta speranza, perché il nostro DNA è orientato all’accoglienza, nonostante tutto.